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E-Mobility, cervelli in fuga e gigafactory. Alessandro Baldini e la lezione del talento esule

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L’Esule e la crisi dell’automotive europeo

Alessandro Baldini

L’italiano di successo è da sempre un esule. Da Dante a Colombo, da Fermi ai talenti più recenti, il pieno compimento professionale sembra spesso richiedere l’emigrazione. Oggi, però, l’esilio ha assunto dimensioni economiche e industriali: lascia le nostre eccellenze senza difesa, generando un vuoto che altri sono pronti a colmare. La crisi nel settore automotive europeo è ormai in atto da tempo: un vero tsunami che scuote filiere e competenze, una Caporetto tecnologica di fronte allo strapotere asiatico nell’elettromobilità.

L’Italia forma ingegneri di qualità e capaci, attraverso un approccio che richiama lo “studio matto e disperato” dei grandi classici: un metodo che allena la mente e la resilienza. Eppure, il Paese non offre opportunità stabili né percorsi di crescita, spingendo molti a cercare il successo all’estero. Così si lascia un vuoto che altri colmano, importando non solo investimenti, ma anche competenze e persone.

“Nel silenzio delle aule, tra gessetti e formule, si formano menti pronte a viaggiare lontano”

Dal gessetto al laser: Formazione ingegneristica italiana e fuga di cervelli

Per comprendere questa peculiarità, occorre seguire da vicino il percorso di formazione degli ingegneri italiani: un cammino che intreccia teoria intensa e pratica spesso limitata, ma che costruisce autonomia e spirito critico. All’Università Roma Tre, dove mi sono formato, le lezioni seguivano il principio del “Verbo Omnicomprensivo”: il professore spiegava la teoria più astratta alla lavagna, armato solo di gessetto, e noi studenti cercavamo di catturare ogni parola, annotazione dopo annotazione.

Pur mancando di applicazioni pratiche immediate, questo metodo offriva basi solide e allenava la resilienza. Era una scuola di ingegno e libertà, il cuore leopardiano dell’ingegnere italiano, capace di affrontare problemi complessi e cavarsela anche senza istruzioni precise.

Il salto decisivo arriva durante l’Erasmus a Karlsruhe, dove il metodo è diametralmente opposto: chiarezza, prassi e accesso ai laboratori. Lì, lavorando come assistente presso il Centro di Ricerca di Karlsruhe (KIT), sono potuto entrare subito nel mondo dei processi laser ad alta precisione.

L’ingegnere italiano, quando combina solide basi teoriche e attitudine creativa con competenza pratica e chiarezza metodologica, rappresenta una sintesi ideale. Il problema non è il talento, ma la mancanza di un campo da gioco nel Paese d’origine.

Tra gessetti e laser, tra teoria e prassi, si intravede la linea sottile che separa chi resta e chi parte


📦 Focus — Industria 4.0 e il futuro dell’ingegneria europea

Secondo Eurostat, nel 2024 l’industria manifatturiera europea ha perso circa il 12% dei posti tecnici specializzati rispetto al 2018, con l’Italia tra i Paesi più colpiti (-17%). Nello stesso periodo, la Germania ha incrementato del 9% le posizioni legate all’automazione e alla robotica applicata, grazie a politiche coordinate di transizione industriale.
Le gigafactory — pilastro della nuova E-Mobility — sono oggi 56 in costruzione in Europa, ma solo 3 in Italia (dato European Battery Alliance 2025). Questo squilibrio non è solo economico: riflette un divario strategico nella capacità di trattenere competenze ingegneristiche.
La fuga di cervelli italiani non è quindi un fenomeno astratto, ma una conseguenza strutturale: mancano piani di valorizzazione del capitale umano tecnico, mentre altri Paesi trasformano le crisi in laboratori di innovazione.
Il nodo cruciale resta la sinergia tra università e industria, ancora debole in Italia. Senza un ecosistema capace di connettere formazione e produzione, le nostre eccellenze continueranno a generare valore altrove — e l’Europa perderà una delle sue menti più brillanti proprio nel momento in cui ne ha più bisogno.


L’Italia senza campo da gioco: la fabbrica mancata

Il risultato dell’esilio forzato è evidente nella crisi industriale, soprattutto nel settore che guiderà il futuro: batterie ed E-Mobility.

Mentre l’Europa tenta di costruire filiere competitive, l’Italia fatica a far partire progetti capaci di generare lavoro specializzato di massa. La Gigafactory Italvolt è ancora un progetto, ma già in crisi, e il progetto Termoli di Stellantis resta una mera ipotesi, utile forse per i tavoli da bar. L’automotive italiano resta sospeso, senza un vero campo da gioco.

I sindacati spesso si concentrano su argomenti di evasione letteraria e questioni internazionali, trascurando il fronte industriale. È in questo scenario che realtà innovative come Dubai, oppure consideriamo scenari quali Singapore, o Neom, mostrano una traiettoria opposta: attraggono competenze, costruiscono filiere e valorizzano il capitale umano come principale leva di sviluppo.
Questi nuovi poli di innovazione condividono una visione chiara: non aspettano che i sistemi tradizionali si adattino, ma creano ecosistemi industriali e tecnologici capaci di anticipare le trasformazioni globali.
Mentre in Europa si discute di incentivi e burocrazie, a Dubai si sperimenta, a Singapore si ottimizza e a Neom si progetta il futuro come infrastruttura. In questi luoghi il capitale umano diventa il fulcro di strategie che intrecciano formazione, industria e qualità della vita. È da lì che nasce la loro forza: un approccio sistemico in cui competenze, ricerca e visione politica si alimentano a vicenda, accelerando il passaggio dall’idea alla produzione.

“Quando il dibattito sostituisce l’azione, le fabbriche tacciono e le competenze si disperdono


E-Mobility e gigafactory: il futuro conteso

In Germania, la crisi viene affrontata come un mestiere: ogni difficoltà si trasforma in produzione, anche quando significa riconvertire una fabbrica civile in officina militare.

Di fronte alla crisi dell’automotive e alla necessità di salvaguardare la forza lavoro, Volkswagen ha aperto alla produzione di veicoli militari — i carri armati di Osnabrück. Una scelta estrema, forse cinica, ma efficace nel preservare competenze locali.

Quella stessa chiarezza di metodo e orientamento al valore che ho osservato da studente al KIT oggi sembra riflettersi nelle scelte industriali tedesche: rigorose, pragmatiche, sempre tese a mantenere il sapere tecnico e il percorso formativo vivo.

“La lezione è chiara: dove il talento incontra un terreno fertile, anche la crisi diventa opportunità

Esuli e conquiste: il futuro europeo in bilico

Questo divario tra l’attitudine italiana, che forma esuli, e il pragmatismo tedesco, che li trattiene, si inserisce in un quadro europeo fragile. Gli ingegneri che hanno combattuto nella grande impresa di Northvolt — un tentativo coraggioso di rivendicare un futuro europeo contro lo strapotere manifatturiero asiatico nell’elettromobilità — si trovano oggi come esuli, alla ricerca di una nuova base da dove ripartire.

Dopo il crollo del progetto, segnato da un buco di dieci miliardi di euro e da una produzione ferma a pochi punti percentuali, molti guardano altrove. Alcuni trovano rifugio in fortunate eccezioni, come la FAAM, realtà italiana che prova a costruire una filiera interna di batterie competitiva.

Ma restano appunto eccezioni. In Spagna, la Gigafactory CATL di Saragozza, realizzata insieme a Stellantis, riceverà fondi europei e impiegherà manodopera cinese già integrata nel progetto.
Non è solo un investimento: è una conquista di competenze e territorio.

La nostra eccellenza formativa, che prepara ingegneri al successo nell’esilio, genera in patria un vuoto industriale che altri colmano con fabbriche e persone proprie.
Eppure, esistono luoghi che stanno già costruendo ciò che noi immaginiamo. Gli Emirati Arabi Uniti, con Dubai in testa, mostrano come una strategia coerente e un investimento costante in capitale umano possano generare un nuovo polo industriale globale. Forse il futuro non va solo sognato — va raggiunto, e per molti questo significa guardare verso Sud, dove la sabbia si trasforma in progresso.

“Eppure, in questo silenzio di fabbriche e aule vuote, rimane la possibilità di immaginare e costruire un domani che sia nostro, se solo sapremo riconquistare il nostro campo da gioco


Alessandro Baldini

Ingegnere specializzato nello sviluppo di processi, con una spiccata propensione al problem solving e alla creatività nel settore dell'e-mobility. Appassionato di innovazione, ha oltre 20 anni di esperienza e ha lavorato come Senior Process Engineer in una delle principali gigafactory europee per la produzione di batterie. Con un'ampia esperienza di consulenza, è anche un inventore con numerosi brevetti alle spalle.

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