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‘AI-family’: l’identità culturale raccontata dai byte

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‘AI-family’ è la nuova frontiera digitale lanciata da Digital Dubai: una famiglia emiratina artificiale, composta da personaggi digitali mossi da intelligenza artificiale, concepita per trasmettere i valori locali e facilitare l’interazione con i servizi pubblici. Non si tratta solo di un esperimento tecnologico, ma di un progetto culturale che fonde innovazione, identità e comunicazione istituzionale. In un mondo iper-connesso, dove l’informazione corre più veloce della riflessione, Dubai sceglie di dare un volto umano – seppure artificiale – alla propria identità, trasformando la tecnologia in uno strumento di narrazione collettiva.


L’annuncio della “famiglia emiratina artificiale”, riportato dal Times of India nell’agosto 2025, segna una tappa cruciale nel percorso di Digital Dubai, l’agenzia che guida la trasformazione digitale dell’emirato. Il progetto, battezzato AI-family, è composto da personaggi virtuali capaci di parlare, interagire e rispondere ai cittadini. Non si tratta, come si potrebbe pensare, di avatar generici: ogni figura digitale è stata modellata per rappresentare l’iconografia culturale emiratina, con l’obiettivo di veicolare valori tradizionali e, allo stesso tempo, rendere più accessibili i servizi della pubblica amministrazione.

In un contesto internazionale in cui l’intelligenza artificiale viene spesso associata a scenari di sostituzione del lavoro o di rischio etico, l’iniziativa di Dubai appare come un ribaltamento di prospettiva. Qui l’IA diventa un “traduttore culturale”, capace di rendere più immediata la comunicazione tra istituzioni e cittadini, soprattutto in una città che conta oltre 200 nazionalità e una complessità sociale senza eguali. In questo senso, AI-family si inserisce nel solco di una politica precisa: trasformare la tecnologia in fattore identitario e narrativo, non solo in infrastruttura tecnica.

Non è la prima volta che gli Emirati Arabi Uniti scelgono di unire innovazione e simbolismo. Già con la creazione del Ministero dell’Intelligenza Artificiale, istituito nel 2017, gli Emirati hanno manifestato l’intenzione di legittimare l’IA come parte integrante della governance nazionale. Con la “famiglia artificiale”, la dimensione si fa ancora più radicale: non un ministero o un piano industriale, ma un racconto incarnato da personaggi digitali. È storytelling istituzionale, ma con il linguaggio dei byte e dei social network.

Il valore culturale di questa scelta non è secondario. In un’epoca in cui l’identità nazionale rischia di frammentarsi sotto la pressione della globalizzazione, l’utilizzo di avatar emiratini guidati da algoritmi permette di ribadire un’immagine condivisa della comunità. La tecnologia, lungi dal dissolvere la tradizione, viene qui arruolata per rafforzarla, rendendola più visibile e “partecipata”. Ogni interazione con AI-family non è soltanto una pratica burocratica, ma un contatto con una rappresentazione dei valori e della cultura locale.

Il progetto, inoltre, apre interrogativi importanti: fino a che punto l’IA può farsi interprete di una tradizione? Quali rischi ci sono nel delegare a un algoritmo il compito di narrare l’identità di un popolo? Eppure, è proprio su questo terreno che Dubai vuole giocare la sua partita, presentandosi come laboratorio del futuro: un luogo in cui la modernità non cancella la memoria, ma la trasforma in linguaggio digitale.

AI-family: un ponte tra identità e interazione digitale

L’iniziativa AI‑family non è un esperimento astratto, ma una strategia studiata nel dettaglio per “umanizzare la comunicazione digitale”, come spiegato da Entrepreneur Middle East. Il personaggio di debutto, chiamato The Girl, è stato presentato vestita “in modernized traditional attire” per attrarre famiglie e bambini, e il pubblico è stato coinvolto direttamente nella scelta del suo nome (tra Dubai, Mira o Latifa) digitaldubai.ae

Nei prossimi mesi verranno introdotti altri membri — padre, madre e fratello — per ricostruire un nucleo famigliare AI che rappresenti i valori emiriani in modo riconoscibile.

L’obiettivo dichiarato da Digital Dubai è rendere i servizi governativi più accessibili e coinvolgenti, andando oltre le modalità standard di comunicazione istituzionale. Come scrive Khaleej Times, si tratta di un’interfaccia “interattiva” pensata per tutte le fasce demografiche, culture e nazionalità.

Contesto globale e localizzato

A differenza di avatar esclusivamente funzionali, l’AI‑family incarna con cura i simboli culturali della società emiratina, utilizzando lo storytelling come veicolo di incontro tra tradizione e innovazione. In un confronto internazionale, altre iniziative simili, come la giornalista virtuale al Kuwait nel 2023, appaiono più limitate nell’impatto emotivo e identitario (The National).

Uno studio condotto su oltre 1 000 residenti a Dubai ha messo a confronto l’accettazione di avatar cybernetici e digitali. Il risultato? Gli avatar con aspetto altamente antropomorfo (anche robotico ma umanoide) ottengono maggiore consenso rispetto a forme cartoon o non‑umane. Inoltre, gli Emiratini mostrano una preferenza significativa per queste interfacce rispetto ad altri gruppi demografici (arxiv.org).

Le implicazioni sono chiare: progetti come l’AI‑family, che si fondano su personaggi antropomorfi, hanno maggiori chance di essere accettati e percepiti come affidabili, soprattutto se unificano simboli culturali condivisi.

Un secondo studio qualitativo, basato su interviste con stakeholder del settore servizio, conferma l’importanza dell’aspetto simbolico e del contesto socioculturale per l’adozione di avatar. A Dubai, si sottolinea che compiti informativi e orientativi sono i più valorizzati, ma l’apparenza e il simbolismo culturale possono fare la differenza tra accettazione e rifiuto.

Verso una comunicazione istituzionale immersiva

Grazie a tali premesse — storytelling culturale, approccio antropomorfo e coinvolgimento partecipativo — l’AI‑family emerge come una forma avanzata di comunicazione pubblica. I cittadini non interagiscono con freddi automatismi, ma con una rappresentazione narrativa della loro identità: un “ambasciatore digitale” in grado di spiegare servizi, stimolare curiosità e rafforzare il senso di comunità.

Nel contesto di una città plurilingue e multietnica come Dubai, questo approccio si rivela strategico per favorire l’alfabetizzazione digitale e l’inclusione — obiettivi chiave di Digital Dubai stessa (The Times of IndiaArabian Business).

L’AI-family segna un cambio di paradigma

L’AI-family segna un cambio di paradigma: non più la tecnologia come semplice strumento, ma come medium culturale. In questo senso, Dubai sembra anticipare una tendenza che presto investirà anche altri paesi: l’uso di intelligenze artificiali non per sostituire l’uomo, ma per rappresentarlo in forme nuove, ibride, persino simboliche.

Eppure, dietro il fascino di una “famiglia digitale” restano aperti interrogativi che toccano la politica, la sociologia e la filosofia: chi decide quali valori incarnare? E come evitare che l’IA diventi un canale di rappresentazione esclusiva, che privilegia un’unica narrazione rispetto alla pluralità di voci presenti nella società?

Se da un lato l’AI-family offre un modello innovativo di comunicazione pubblica, dall’altro mette in luce il rischio di una “identità sintetica”, calibrata da algoritmi e policy. In un contesto iper-connesso, il confine tra autenticità e costruzione artificiale diventa sempre più sottile.

È qui che Dubai propone la sua sfida al mondo: trasformare l’innovazione digitale in un veicolo di coesione culturale, assumendosi il rischio di affidare alla tecnologia un ruolo che, finora, era esclusivo dell’arte, della letteratura e della politica.

Forse, più che chiederci se un avatar possa raccontare l’identità di un popolo, dovremmo domandarci se gli umani sapranno ancora distinguere tra ciò che nasce da un algoritmo e ciò che nasce da un’esperienza reale. La risposta a questa domanda definirà non solo il futuro di Dubai, ma quello della relazione tra cultura e tecnologia a livello globale.

La Redazione

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