In Italia, la parola “holding” spesso suona come un lusso per grandi gruppi, un’entità distante, quasi mitologica.A Dubai, invece, è div entata una scelta concreta — e sempre più urgente — per chi vuole proteggere il proprio lavoro dalle turbolenze economiche e normative che frenano la crescita in Europa. Oggi la holding a Dubai non rappresenta più una via di fuga fiscale, ma un modello evoluto di governance: una struttura pensata per gestire, consolidare e far crescere patrimoni aziendali con efficienza, trasparenza e libertà operativa. Un ecosistema dove il capitale si muove senza attriti, i processi si digitalizzano e la fiducia — non il segreto — diventa la vera garanzia di stabilità. Mentre l’Italia continua a dibattere su semplificazioni e incentivi, sempre più imprenditori scelgono gli Emirati Arabi Uniti come laboratorio di futuro.
Ma come si è arrivati a questo cambio di paradigma? E soprattutto: cosa può insegnarci Dubai su come proteggere il valore, prima ancora del denaro?
Dalla fiscalità al sistema: come Dubai ha riscritto le regole del gioco
Nel lessico d’impresa, “holding” oggi significa governance, protezione e continuità soprattutto se il contesto è quello di Dubai. Perché? Presto detto. La trasformazione è iniziata sul diritto: all’interno del DIFC (Dubai International Financial Centre) e dell’ADGM (Abu Dhabi Global Market) opera un quadro di common law con corti dedicate, regole chiare su capitali, amministratori, reporting e risoluzione delle controversie. Questo ha reso prevedibili i processi e bancabili le strutture, con un accesso ordinato al credito e ai servizi finanziari internazionali.
In un precedente articolo abbiamo cominciato a pralarne. Sul fronte fiscale, gli UAE applicano una corporate tax del 9% oltre AED 375.000 di utile e mantengono esenzioni su dividendi intragruppo e capital gain in molte configurazioni societarie, in coerenza con un’ampia rete di accordi contro la doppia imposizione e di trattati per la protezione degli investimenti. La pianificazione non ruota più intorno a zone d’ombra, ma a regole leggibili e compatibili con gli standard OCSE/FATF.
La macchina operativa è stata digitalizzata: identità elettronica (UAE PASS), firma digitale valida nelle giurisdizioni finanziarie, portali unici per licenze e permessi. I tempi di costituzione dipendono dalla sede e dal settore: da 1–2 giorni nelle free zone più snelle, fino a 7–10+ giorni per veicoli regolati o strutture più articolate in DIFC/ADGM. Anche i costi annuali sono prevedibili (licenza, sede legale/virtual office, compliance di base) e scalano in base a licenze e attività.

Tre pilastri spiegano il vantaggio competitivo:
- Certezza giuridica: regole stabili, corti efficienti, prassi note agli investitori istituzionali.
- Compatibilità internazionale: requisiti AML/CFT e standard di trasparenza allineati a OCSE/FATF; accountability misurabile.
- Efficienza esecutiva: processi digitali end-to-end, tempi rapidi e integrazione bancaria multivaluta.
Per un’impresa italiana, questo significa ridurre il rischio paese e alzare la qualità della governance: la holding a Dubai diventa un centro di coordinamento (partecipazioni, IP, finanza intragruppo, pianificazione successoria) capace di sostenere acquisizioni, joint venture e crescita internazionale senza frizioni amministrative.
🟧 FOCUS BOX — Storie di chi ha scelto Dubai per ripartire
“Non volevo scappare, volevo respirare.”
Gianni R., imprenditore veneto nel settore meccanico, prende una decisione che nel 2025 lo ha portato ad aprire una holding a Dubai. Dopo vent’anni di impresa familiare e una crescente pressione fiscale, Gianni ha scelto di spostare la sede strategica del gruppo in un Paese dove la burocrazia non paralizza l’iniziativa.
A seguirlo passo dopo passo è stato Daniele Pescara, consulente internazionale e fondatore della Daniele Pescara Consultancy, tra i massimi esperti italiani di pianificazione societaria negli Emirati. “Gianni non cercava un rifugio, ma una regola chiara,” racconta Pescara. “Quando l’imprenditore capisce che la stabilità normativa è un alleato — e non un ostacolo — cambia il modo di gestire l’azienda. Inizia a pensare in termini di continuità, non di sopravvivenza.”
C’è anche Laura M., consulente di marketing milanese che a fine 2024 ha fondato la sua holding a Dubai per coordinare le attività in Medio Oriente e Asia. “Per lei la chiave è stata la libertà di lavorare in trasparenza,” spiega Pescara. “Non ha scelto Dubai per pagare meno, ma per poter pianificare di più. Qui il sistema ti chiede coerenza, non coraggio.”
Oggi Gianni gestisce la sua rete di partecipate tra Europa e Golfo direttamente dal Dubai International Financial Centre, mentre Laura ha aperto un hub digitale che serve clienti in sette Paesi. Entrambi hanno vissuto un cambiamento profondo: non la fuga, ma la ricostruzione. Come sintetizza Pescara: “Chi apre una holding qui non vuole scappare dall’Italia. Vuole restare imprenditore — con la testa, non solo con la partita IVA.”
Holding Dubai: la nuova frontiera della governance internazionale
Nel mondo post-pandemia, la solidità di un’impresa si misura sempre meno dalla grandezza del fatturato e sempre più dalla qualità della sua architettura societaria.
È in questo scenario che il modello Holding Dubai si afferma come una delle scelte più strategiche per imprenditori, gruppi e family office europei.
Secondo i dati ufficiali del Dubai International Financial Centre (DIFC), nel 2024 le aziende registrate hanno raggiunto quota 6.920, con una crescita del 25% rispetto all’anno precedente. Tra queste, oltre 1.800 nuove società sono state costituite solo nell’ultimo anno, confermando il ruolo dell’Emirato come hub globale per la finanza corporate e patrimoniale.
L’Italia figura tra i Paesi europei con il più alto tasso di nuove incorporazioni, attratta da una combinazione di stabilità normativa, protezione legale e vantaggi di pianificazione internazionale.

Tre caratteristiche rendono unica la struttura di holding emiratina:
- Legittimità internazionale — Le giurisdizioni del DIFC e dell’ADGM adottano la common law inglese, assicurando procedure e contratti compatibili con gli standard globali.
- Compliance evoluta — Le politiche AML/CFT sono pienamente allineate ai protocolli OCSE e FATF, rendendo Dubai una piazza credibile per capitali e fondi internazionali.
- Efficienza digitale — La costituzione societaria e le licenze sono gestite tramite portali digitali e identità elettronica (UAE PASS), con tempistiche che variano da pochi giorni fino a due settimane per strutture più complesse.
Ma il dato più significativo riguarda la mentalità.
“Quando un imprenditore apre una holding a Dubai,” spiega Daniele Pescara, “non costruisce solo un veicolo finanziario, ma un sistema di protezione e crescita. È una scelta strategica, che guarda alla stabilità dei prossimi vent’anni.”
Una visione che si riflette nelle statistiche: oltre il 40% delle holding costituite nel 2024 include già meccanismi di successione patrimoniale e governance familiare, segno di un cambio culturale.
Il focus non è più l’ottimizzazione fiscale, ma la sostenibilità del valore nel tempo: proteggere, pianificare, tramandare.
Questa trasformazione si lega al più ampio progetto Dubai Economic Agenda D33, che mira a raddoppiare il PIL dell’Emirato entro il 2033. Un obiettivo ambizioso, fondato su due direttrici: attrarre talenti e capitali globali e costruire un modello di economia trasparente e innovativa.
Un ecosistema in cui la holding è un ingranaggio chiave della nuova governance internazionale.



