Diamo il benvenuto su QuiDubai ad Alessandro Baldini: ingegnere e product engineer con esperienza nell’industria elettrica ed elettronica, specializzato in E-Mobility, laser processing, product & process development. Scrive dal centro della scena: linee di produzione, supply chain, laboratori. La sua prospettiva è operativa e concreta—quella di chi ha visto come nascono davvero prodotti e filiere. In questo debutto ci porta dentro la transizione energetica e spiega perché Dubai, per velocità decisionale, apertura internazionale e capacità di attrarre capitale umano e investimenti, è un laboratorio credibile del prossimo ciclo di progresso. Buona lettura.

Per oltre un secolo il petrolio ha dettato le regole dell’economia globale. Ha acceso industrie, costruito fortune politiche e trasformato deserti in potenze mondiali. Oggi i riflettori si spostano su un ulteriore fattore di produzione. Non più solo sull’oro nero, ma sulla nuova frontiera rappresentata dalle energie rinnovabili, e in particolare dalle tecnologie delle batterie al litio come nuovo vettore energetico. Il futuro, infatti, si decide dove queste nuove tecnologie trovano applicazione, e questi sono luoghi capaci di attrarre intelligenze, visioni e tecnologie per realizzarle interamente. In questo scenario, gli Emirati Arabi Uniti si sono affermati come punto di riferimento, e la città di Dubai, con il suo audace skyline, si rivela come l’emblema di questa visione: un laboratorio poliedrico che osservo con sempre più speranza e con lo sguardo di chi ha vissuto dall’interno le fragilità dei modelli occidentali.
Qui vedo la possibilità di un contesto diverso, dove la velocità decisionale, la posizione geografica e la capacità di attrarre capitale umano qualificato creano un mix unico. Non solo una città vetrina, ma un punto di incontro che può scrivere le regole del progresso globale di domani. La mia è una testimonianza diretta: da ingegnere in una gigafactory di batterie ho visto catene di fornitura piegarsi, programmi multimiliardari arrestarsi per un singolo vincolo e team eccellenti che, con sforzi eroici, rimettevano i processi in carreggiata. Per me il futuro si decide nei luoghi che sanno attrarre talento, capitali e capacità esecutiva. Questo emirato rientra in questo perimetro: tempi decisionali rapidi, capacità di investimento, apertura internazionale, piattaforma concreta per prototipare e scalare tecnologie, connettendo Oriente e Occidente. È un ambiente dove il capitale umano qualificato può fare la differenza e dove la velocità operativa diventa vantaggio competitivo.
È da qui che parto per raccontarvi perché la considero un candidato promettente a guidare il prossimo ciclo di progresso.

Il costo di comprare l’innovazione
Nei Paesi occidentali, abbiamo assistito a un paradosso. Mentre il dibattito si concentrava sulla sostenibilità e sulle nuove materie prime, ho visto in prima persona come si cercasse di comprare il futuro, piuttosto che costruirlo. Ricordo riunioni interminabili a Skellefteå, in Svezia, dove la nostra ambizione di creare una gigafactory di batterie per l’Europa si è scontrata con una realtà ben diversa. La catena di fornitura si piegava sotto il peso di vincoli non previsti. Le spedizioni di celle al litio per i clienti arrivavano in ritardo, i processi si fermavano per un singolo componente in avaria.
Abbiamo creduto, ingenuamente, che il know-how si potesse semplicemente ottenere come un pacco pronto in scatola chiusa. Ci siamo fidati di fornitori che non avevano interesse a trasferire lo stato dell’arte della loro tecnologia, perché erano parte di una strategia di espansione e controllo nel mercato globale, e ci siamo ritrovati a lavorare con impianti non concorrenziali rispetto a quelli dei player principali a cui aspiravamo di competere.

La verità che ho imparato è che il vero potere in questa transizione non risiede nel controllo di una risorsa, come il petrolio in passato, ma nella conoscenza e nella capacità di innovare. La Cina ha compreso questo principio e non si è limitata a controllare le materie prime, ma ha costruito un’intera filiera del know-how, dalla ricerca di base alla produzione di massa, creando un divario tecnologico che non si sta riducendo. Un esempio lampante è il prossimo passo nella tecnologia delle celle al sodio. Con il sodio, contenuto nel comune sale marino, economico e di facile reperibilità ovunque, il valore non è nella materia prima, ma nella capacità di dominare l’intero processo di innovazione. Inoltre, la sua facile reperibilità evita il complesso problema del riciclo del litio, un aspetto non ancora completamente risolto per l’economia circolare. Ho imparato che per non replicare questa situazione senza sbocco, dobbiamo cambiare approccio. L’Occidente, con una forza lavoro che invecchia e una graduale perdita di competenze manifatturiere, cercando di imitare l’estremo Oriente, ne è diventato dipendente. La vera sfida non è controllare un nuovo e più grande giacimento di litio, ma costruire una nuova casa per chi ha le competenze per lavorarci.

L’opportunità di Dubai come catalizzatore
Questa lezione è la chiave per guardare al futuro. In questo scenario, sento che il mondo ha un disperato bisogno di una nuova “America”, un luogo che possa accogliere una nuova classe operaia e middle class. Ho visto ingegneri, ricercatori e tecnici con un bagaglio di esperienze immense e una profonda voglia di realizzare. Hanno bisogno di un nuovo faro con cui identificarsi e con cui lavorare. Se non si colma questo vuoto, rischiamo di sostituire una dipendenza geopolitica con l’altra, polarizzando il mondo in blocchi e preparando il terreno per conflitti ancora più grandi.

È in questo luogo, contornato dal deserto e dal mare dei tropici, che si rivela un nuovo approccio per guidare il prossimo ciclo di sviluppo e progresso. Non si tratta solo di una città vetrina, ma di un modello alternativo che ho visto plasmarsi con velocità sorprendente e capacità di visione. La sua leadership illuminata, che unisce tradizione e prospettiva per il futuro, è la sua forza più grande. La sua posizione unica tra estremo Oriente e Occidente la rende un punto di incontro fondamentale e le permette di attrarre ancora più capitale umano che il mondo non sta valorizzando come si meriterebbe, riuscendo a creare una sintesi costruttiva nell’interesse di tutti. Qui il capitale umano qualificato può fare la differenza e dove la velocità operativa diventa vantaggio competitivo.
In definitiva, la mia esperienza mi ha insegnato che per il futuro non dobbiamo guardare ai problemi del passato, ma alle risorse del presente, e in particolare al fattore umano. La vera sfida non è acquistare il progresso, ma costruirlo insieme, facendo leva sul talento e la lungimiranza ovunque si trovino. Questo è il souvenir che porto con me e che mi fa guardare agli Emirati Arabi Uniti e a Dubai come a un faro che sta dimostrando al mondo che l’autonomia e di conseguenza la sostenibilità si conquistano con la proattività e l’intraprendenza, non ripetendo soluzioni già tentate invano da altri, e che il futuro appartiene a chi è capace di tradurre i propri sogni in realtà.