Gli imprenditori italiani non si divertono più

Crisi di margini, burocrazia crescente, guerra al ribasso: come l’impresa italiana ha smarrito il sorriso e dove – in Italia o altrove – si può ancora ritrovare

Tempo di lettura : 4 minuti

Cambia tutto, ma per gli imprenditori italiani, i problemi restano sempre gli stessi. Dai palazzi romani alle guerre globali, dalle pandemie alle tensioni geopolitiche tra le grandi potenze, negli ultimi anni si è trasformato il mondo – eppure chi fa impresa in Italia si ritrova ancora a fare i conti con una tassazione opprimente, una burocrazia soffocante e un mercato che premia chi taglia più che chi innova.
In questo contesto, molti si interrogano: ha ancora senso investire in Italia? Oppure è arrivato il momento di affacciarsi a nuovi mercati, più fertili e meno ostili?
Ne scrive Enrico Cucinotta, responsabile operativo Italia per Daniele Pescara Consultancy, che in oltre un decennio di consulenza ha accompagnato centinaia di imprenditori verso scenari più sostenibili, dentro e fuori i confini italiani. Ed è proprio dal suo osservatorio – concreto, multidisciplinare, senza fronzoli – che nasce un’analisi amara ma necessaria: oggi, fare impresa in Italia non diverte più. Ma ritrovare il sorriso è ancora possibile.


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Lo scenario immobile: dieci anni, dieci governi, stessi mali

Nel corso dell’ultimo decennio, l’Italia ha cambiato più governi di quanti un’impresa sana possa permettersi di cambiare strategia. Dal dopo-Monti fino all’attuale esecutivo guidato da Giorgia Meloni, passando per Renzi, Gentiloni, Conte e Draghi, la politica italiana ha conosciuto continui scossoni, ma l’imprenditore ha sempre dovuto affrontare la stessa triade di problemi strutturali: burocrazia, fiscalità e competitività. A poco è servito il fatto che nel frattempo sia cambiato l’ordine mondiale. Guerre si sono concluse e nuove se ne sono accese – Russia-Ucraina, Medio Oriente, tensioni tra Cina e Taiwan – e abbiamo attraversato una pandemia che ha ridefinito modelli economici e catene di fornitura. Ma chi fa impresa in Italia, al netto di tutto, ha continuato a misurarsi con una realtà profondamente ostile.

Il carico fiscale rimane tra i più elevati d’Europa, le banche sono diventate più intrusive e meno agili, complicando persino operazioni semplici come un bonifico internazionale. Nel frattempo, la concorrenza – soprattutto quella estera – si è fatta più agguerrita: capace di offrire lo stesso prodotto o servizio a costi inferiori, con una velocità e una snella esecuzione impensabili per chi deve destreggiarsi quotidianamente tra regolamenti, adempimenti e cavilli.

Ciò che colpisce, tuttavia, non è solo la pressione esterna. È la disintegrazione progressiva dell’energia interna: l’imprenditore italiano, che per cultura tende a identificarsi profondamente con il proprio lavoro, oggi lavora più di ieri, guadagna meno, e si ritrova a svolgere mestieri che non gli competono – dal fiscalista all’avvocato, dal bancario al compliance manager – tutto pur di tenere in piedi la sua attività. Il tempo dedicato all’impresa si dilata, ma la soddisfazione si assottiglia. E il sorriso, a poco a poco, scompare.

Oltre la trappola italiana: dove (e come) si può tornare a respirare

Chi lavora con gli imprenditori lo sa: il vero punto critico non è il rischio d’impresa in sé, ma l’assenza di margine di manovra. In Italia, le regole si moltiplicano, ma non aiutano a costruire. Anzi: sottraggono tempo, lucidità e libertà. Chi guida un’azienda oggi è costretto a vivere in perenne difesa, come se ogni azione dovesse prima superare un ostacolo normativo, fiscale o bancario, e solo dopo potesse acquisire senso economico. Il paradosso è evidente: in Italia si può ancora fare impresa con successo. Ma serve una conoscenza approfondita delle leve disponibili e, soprattutto, una pianificazione strategica consapevole, che superi il modello del professionista “che ti dice quanto devi pagare e quando”.

Qui si innesta il lavoro di chi – come il team per cui ho l’onore di ricoprire il ruolo di Responsabile Operativo Italia – ha scelto un approccio radicalmente diverso: multidisciplinare, cucito sulla persona, e con lo sguardo aperto sul mondo. Le soluzioni, spesso, non si trovano combattendo dentro un sistema che non vuole cambiare. Si trovano spostando – quando ha senso farlo – il baricentro dell’attività in giurisdizioni più snelle, più moderne, più orientate al business. Fidatevi: l’ho visto accadere molte volte, e ogni volta è stato un salto quantico.

Per quanto mi riguarda, vivendo e lavorando con Dubai – della quale conosco profondamente i codici e le opportunità – posso dire che l’Emirato è oggi il simbolo concreto di questa alternativa. Ma una precisazione è doverosa: la scelta non può essere automatica, né omologata. Il punto non è “scappare dall’Italia”, ma ragionare da imprenditori globali, capaci di costruire un’architettura fiscale, operativa e societaria coerente con i propri obiettivi e con la propria identità. È qui che si torna a respirare. Ed è qui che, davvero, può tornare il sorriso.

3 regole d’oro: quando un sorriso diventa un indicatore economico

Nel lessico delle statistiche aziendali non esiste una voce chiamata “serenità dell’imprenditore”. Eppure, in dieci anni di consulenza, ho imparato a riconoscerla meglio di un bilancio. È quella che torna sul volto di chi, dopo anni di fatica, smette di sentirsi ostaggio del sistema e torna a guidare davvero la propria impresa. Quel sorriso non arriva per caso. Ha delle condizioni precise.

Chi vuole uscire davvero dall’impasse in cui versa gran parte dell’imprenditoria italiana deve accettare tre verità operative, tanto semplici quanto spesso trascurate:

  1. La fiscalità non si subisce. Si progetta.
    Ogni impresa ha diritto – e dovere – di costruire un assetto sostenibile, in Italia o altrove, che non la dissangui a fine anno. La chiave è una pianificazione parametrata, cucita addosso, mai standard.
  2. La burocrazia si aggira con la competenza.
    Conoscere le normative, anticipare gli adempimenti, dialogare con banche e istituzioni nella loro stessa lingua è oggi un vantaggio competitivo. Serve un team che parli il linguaggio della complessità.
  3. Il mercato non si combatte al ribasso. Si cambia campo da gioco.
    Se il margine si è ridotto a zero, forse il problema non è solo nel prezzo, ma nel perimetro stesso in cui si compete. Guardare fuori confine, anche solo concettualmente, può aprire spazi impensabili.

Non sono teorie da convegno. Sono scelte che ho visto applicare da centinaia di imprenditori – piccoli, medi e grandi – che hanno avuto il coraggio di fermarsi, rimettere mano alle fondamenta e ripartire da un’idea nuova di impresa. Chi oggi vuole continuare a lavorare senza consumarsi, deve prima di tutto tornare a respirare. Questo richiede lucidità, metodo e una visione che non può essere più lasciata al caso. E richiede di farsi le domande giuste: sto lavorando per costruire qualcosa, o per difendermi da tutto?

Ritrovare il sorriso non è un premio. È un sintomo.
Significa che hai ricominciato a fare davvero l’imprenditore.

Enrico Cucinotta

Enrico Cucinotta è un consulente con oltre 10 anni di esperienza, specializzato nell'ottimizzazione fiscale e operativa per aziende italiane. Ha supportato più di 500 imprese, contribuendo a un aumento dei profitti fino al 75% e a una riduzione fiscale media del 47%. Come Responsabile Operativo Italia per la Daniele Pescara Consultancy, opera a Padova, Roma e Dubai, con una forte expertise nelle dinamiche fiscali internazionali. Cucinotta è anche coinvolto nell'implementazione di standard di eccellenza per le imprese. Per consulenza fiscale o espansione internazionale, è possibile contattarlo al +049 736 0107.

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